Virginia Woolf e Londra

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Per la vita e larte di Virginia Woolf, la capitale inglese ha sempre rappresentato molto più di una città: «Londra è un incanto. Esco e poso il piede su un magico tappeto bronzeo, e mi trovo rapita, nella bellezza, senza neppure alzare un dito», scriveva nel suo diario un lunedì di maggio del 1924. La scrittrice modernista, nata nel 1882 al 22 di Hyde Park Gate a Kensington, ha usato la città come un personaggio ricorrente, inseparabile dalla propria narrativa. Mario Fortunato, scrittore, critico letterario e direttore dal 2000 al 2004 dellIstituto italiano di cultura a Londra, ha pensato di raccogliere, in un volume intitolato proprio Londra (Bompiani, pp.188, 12 euro), tutti i brevi saggi narrativi sulla città scritti da Virginia Woolf negli anni precedenti o contemporanei alle sperimentazioni romanzesche: «Questo libro è anche una guida involontaria a una delle città più visitate e meno conosciute del mondo», scrive nella prefazione. Come racconta poi al telefono dalla sua casa in Sabina: «Woolf ha scritto tanti pezzi su Londra, di cui una parte non era mai stata tradotta in italiano. Il tema della città nella sua scrittura è più che rilevante. Dopo aver fatto delle ricerche mi sono reso conto che una raccolta di questo tipo non esisteva, nemmeno in lingua inglese. È buffo pensare come unidea così semplice non sia mai venuta in mente finora a nessuno, mi sembra molto interessante lidea di mettere insieme tutti gli scritti di Virginia Woolf sulla città per creare un suo percorso topografico e ideale». Non a caso, ogni brano o passaggio del libro è preceduto dalla riproduzione di una parte di due mappe tascabili del 1910 e del 1920. A voler trovare un punto preciso da cui partire per unavventura nella Londra di Virginia Woolf, il migliore è forse la casa bianca di Hyde Park GateKensington, sede dei primi ricordi della scrittrice: «Undici persone fra gli otto e sessantanni vivevano in quella casa, accudite da sette servitori, mentre vecchie e invalidi svolgevano vari lavoretti alla giornata con secchio e rastrello», scrive Virginia Woolf in Vecchio Bloomsbury, che come spiega Mario Fortunato rappresenta il cuore simbolico del libro. Era stato composto nel 1928, come racconto autobiografico da leggere ai dodici selezionati membri del Memoir club del gruppo di Bloomsbury: «La casa era buia perché la strada era così stretta che si poteva vedere Mrs. Redgrave lavarsi il collo in camera sua, proprio di fronte a noi; e poi perché mia madre, allevata nella tradizione vittoriana di Little Holland House in stile Watts veneziano, aveva foderato i mobili di velluto rosso e laccato le boiserie di nero con venature dorate». È dopo la morte del padre Leslie Stephen nel 1904 che la famiglia di Virginia si sposta circa quattro chilometri a nord-est, nella casa al 46 di Gordon Square, a Bloomsbury. Addio pesanti tappezzerie vittoriane, è linizio di unepoca che rappresenta la nascita di una modernità che risuona ancora oggi nelle vie e nelle abitazioni di Londra: «Avevamo decorato le pareti a tempere dai colori chiari. Eravamo pieni di idee innovative da sperimentare. Avremmo fatto a meno delle tovaglie a tavola, in favore dei sottopiatti; ci saremmo messi a dipingere, a scrivere; avremmo bevuto caffè dopo cena, invece del tè. Tutto sarebbe stato nuovo; tutto sarebbe stato diverso. Avremmo provato ogni cosa». Laria in città non sarebbe più stata la stessa. Dice Mario Fortunato: «Rispetto a Kensington, Bloomsbury è un quartiere meno bello, meno ricco, ma è più luminoso. Lì Virginia Woolf si trovò a far parte di un gruppo di giovani che oggi potremmo definire hippie, scatenati, e che hanno preso un quartiere come Bloomsbury, che esisteva da sempre, ed è come se lo avessero messo per primi sulla mappa.

La loro è stata la più importante rivoluzione del Novecento inglese, una rivoluzione che ha messo al centro la cultura, e che rappresenta uno dei punto più alti della civilizzazione europea. È da qui che arriva tutto: il femminismo, la liberazione sessuale, i movimenti per i diritti civili, la centralità della creatività, il Sessantotto e il Settantasette». La Londra di quegli anni, scrive Fortunato, è un luogo in cui «è tutto energia, mezzi di trasporto, aria, nuvole, strade affollate, commerci, denaro, molto denaro, sporcizia, e bianche facciate di stucco». Ma quanto assomiglia alla metropoli di oggi? «Questi scritti sono di un secolo fa e Londra è una città in continuo mutamento», dice. «Ma lessenza non è cambiata,  possiamo rifletterci sopra con gli stessi strumenti di allora. Lanima di Londra è swing. Proprio in questi giorni sto rileggendo Il conformista di Alberto Moravia, pubblicato nel 1951, e ho notato che descrive alcuni quartieri di Roma, i Parioli e altre zone più piccolo borghesi, in modo identico a come sono ancora oggi. La caratteristica di Roma è la perennità, mentre Londra muta incessantemente. Penso al quartiere di Chelsea, che dagli anni Trenta a oggi è cambiato molte volte, o a Islington, dove allinizio del secolo scorso abitava una comunità di operai italiani e adesso è una zona esclusiva». Nel racconto Per le strade di Londra Virginia Woolf esce a piedi e si muove, con la scusa di dover comprare una matita, fra Holborn, lo Strand e il ponte di Waterloo, dove allora si potevano trovare ancora reminescenze dickensiane: «Gente che intraprende così curiosi mestieri il cesellatore doro, laccordatore di fisarmoniche, il decoratore di bottoni…». Come scrive il curatore nella prefazione: «La Woolf celebra lidea stessa di città, o meglio di metropoli, e il suo correlativo oggettivo: la modernità (). Una passeggiata allora del tè e quella della cena diventa unesperienza primaria di apertura al mondo». Con il giusto atteggiamento è unesperienza che si può fare ancora oggi, anche se Holborn e lo Strand sono diventate zone forse un poanonime, come è accaduto un podappertutto nelle parti più centrali di tutte le città europee. Ma Londra è grande. Come spiega Fortunato: «È un immenso ginepraio, grande come tutto il Lazio, e ha una toponomastica complessa ma molto accurata. Io ho pochissimo senso dellorientamento, ma a Londra ho imparato a usare i punti cardinali. Le indicazioni stradali e la metropolitana ti dicono sempre in che direzione stai andando». In questo modo, sapendo che è impossibile perdersi, viene voglia di camminare senza meta, con in mente il flusso di pensieri della signora Dalloway: «Gli occhi della gente, il loro andamento lento, faticoso, il chiasso e il frastuono, le carrozze, le automobili, i tram, i furgoni, gli uomini-sandwich che vanno avanti e indietro col loro passo strascicato e ondeggiante, le bande e gli organetti; il trionfo e il tripudio e il canto stranamente acuto di un aereo, ecco ciò che amava: la vita, Londra, quellattimo di giugno».  Forse non si vedranno in giro più molte carrozze, ma la sensazione che ogni futuro sia possibile e ancora da costruire resiste: «La Londra di Virginia è proprio quella che i terroristi odiano», dice Fortunato. «Perché è una metropoli laica, moderna, il cui solo idolo è il presente, la vita».

 

Questo articolo è uscito su Il Venerdì di Repubblica il 9 giugno 2017

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